di Bianca Mafodda, già stagista Villa La Pietra NYU e Francesca Baldry, Collection Manager

Tema della settimana: Monete

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Chi di noi ammirando una collezione di arte antica non è rimasto colpito dall’oro delle tavole medievali o dai minuti dettagli dorati delle vesti e delle capigliature dei personaggi che affollano la scena? Chi non è tornato con lo sguardo attratto dallo sfavillio prodotto dal metallo che viene a contatto con la luce?

L’oro ha sempre suscitato un fascino particolare sull’uomo, che sin dall’antichità lo ha innalzato a simbolo dell’immaterialità cosmica, del sole, delle divinità pagane ed infine di Dio. Si tratta, inoltre, di uno dei materiali più duttili, malleabili e resistenti alle intemperie, prestandosi dunque molto bene alle più svariate lavorazioni. Possiamo quindi capire perché i pittori medievali abbiano fatto ampio uso di questo elemento: oltre ad essere un materiale che offre molteplici tipologie di lavorazioni diverse, è perfetto per conferire quel tocco di misticità in più alle scene rappresentate.

Inconorazione della Vegine con Santi ed Angeli
Fig. 1 Mariotto di Nardo, attivo a Firenze, 1389 – 1424 ca., “Inconorazione della Vegine con Santi ed Angeli”, 1395-1400, Tempera su tavola, 150 × 70.8 cm, Villa La Pietra, Sala da Pranzo

Nella collezione Acton c’è un’opera che esalta le caratteristiche di questo metallo e che ci dà la misura del grande valore simbolico che gli veniva attribuito in quegli anni: si tratta dell’Incoronazione della Vergine realizzata dal pittore fiorentino Mariotto di Nardo, negli ultimi anni del XIV secolo (fig. 1). Non è certo quale fosse il suo luogo d’origine, ma sappiamo che si trova a Villa La Pietra già dagli anni ’20 del secolo scorso, ad ornare le pareti della Sala da Pranzo:  una grande sala dove la famiglia pranzava, circondata da capolavori del Due e Trecento, una sorta di Sancta Santorum della loro collezione.

Ma fermiamoci ora davanti al quadro. Cristo e la Vergine sono inseriti all’interno di una mandorla dorata: il Figlio è colto nell’atto di incoronare a “Regina dei Cieli” la Madre che, seduta accanto, si sporge verso di lui. Ai loro lati, un gruppo di cherubini vola intorno, rapiti dalla scena che si svolge proprio sotto i loro occhi. Ai piedi del Cristo e della Vergine, cinque angeli inginocchiati assistono all’evento miracoloso insieme ai quattro santi raffigurati stanti ai lati. Si tratta di San Giovanni Battista, riconoscibile dalla pelliccia di cammello che indossa, di Santa Caterina d’Alessandria, che porta con sé la ruota dentata e la palma del martirio, di San Giacomo maggiore, raffigurato con il bastone da pellegrino, e di Santa Lucia, riconoscibile grazie ai due attributi della lanterna e della palma del martirio.

Fig. 2

Si illustra qui  un grande evento che ha luogo in cielo: i personaggi poggiano i loro piedi sulle nubi cosparse di stelle dorate che gli fanno da base e si stagliano contro il fondo dorato, che suggerisce in questo caso la condizione miracolosa e ultraterrena della scena  raffigurata dall’artista. Il classico fondo d’oro (fig. 2) viene realizzato secondo la tecnica della doratura a guazzo: sulla preparazione a gesso e colla della tavola viene fatta aderire la foglia d’oro sulla superficie per mezzo del bolo, una terra argillosa che fa da collante. Una volta stesa la foglia viene sottoposta alla brunitura, ovvero viene sfregata con un dente di animale o con una pietra dura per rendere l’adesione tra i vari strati ancora più effettiva e per rendere la foglia ancora più brillante e omogenea.

È interessante notare come i cherubini ai lati del Cristo e della Vergine siano stati realizzati tramite leggeri tocchi di vernice traslucida dati direttamente sulla foglia d’oro del fondo, in modo che il suo calore e la luminosità dorata che la connotano emergano con forza dalle sottilissime pennellate di vernice (fig. 2). Così facendo, Mariotto riesce a restituire l’immaterialità e la consistenza aerea di questi essere ultraterreni: gli altri personaggi sono infatti realizzati secondo una tecnica pittorica diversa, ossia quella della tempera a uovo, data sulla preparazione a gesso e colla della tavola lignea.

La pittura stessa è poi impreziosita dai dettagli realizzati in foglia d’oro: dorate sono le ali degli angeli inginocchiati in primo piano, così come anche i lembi dei manti indossati dai santi e i nimbi – che ornano le teste dei vari personaggi della scena – minutamente lavorati con gli strumenti del doratore (bolli, punzoni e stiletto).

Fig. 3

Bellissimo è poi il motivo dorato stilizzato che si staglia sul fondo chiaro della veste della Vergine. Quest’ultimo (fig. 3) è realizzato secondo la tecnica del cosidetto sgraffito: sulla foglia d’oro viene steso uno strato di pittura a tempera, in modo da celarla completamente.

A questo punto viene delineato sulla tempera il motivo ornamentale che si vuole riprodurre e si gratta via la pittura in modo da seguire il disegno prestabilito. Si tratta di un procedimento particolarmente delicato e minuzioso che necessita della massima perizia. La pittura viene dunque grattata via – da qui il termine di sgraffito – per mezzo dello stiletto, uno degli strumenti principali tra quelli presenti nelle botteghe pittoriche dell’epoca, in modo da scoprire l’oro sottostante.

Un motivo decorativo molto simile si trova anche a ornare il manto coordinato della stessa Vergine, realizzato però secondo una tecnica diversa (fig. 3). Il disegno dorato è molto simile, così come anche il colore del manto che fa da sfondo al decoro, ma è stato questa volta delineato direttamente sopra la tempera chiara del manto, secondo la tecnica conosciuta come doratura a missione. Il fondo del manto è stato dunque realizzato tramite la pittura a tempera a uovo, tipica dell’epoca. Su di esso, il pittore è andato a delineare il motivo decorativo che andrà poi a dorare: con un pennello, ha steso sulla tempera un mordente o missione che serve da collante per la foglia d’oro. Una volta applicato il mordente, si fa adagiare su di esso la foglia metallica, che aderirà solo nei punti delineati con il pennello in precedenza. L’oro aderirà quindi solo nei punti specifici individuati dall’artista utili alla riproduzione del motivo decorativo, mentre il resto sarà spazzato via.

Mariotto utilizza dunque la foglia d’oro in diversi modi: nel fondo secondo la tecnica della doratura a guazzo, nei decori della veste della Vergine secondo la tecnica dello sgraffito (con la tempera che sovrasta la foglia d’oro sottostante) e, ancora, negli ornamenti dei manti dei vari personaggi secondo la tecnica della doratura a missione (con la foglia d’oro che viene fatta aderire sopra la stesura pittorica). In ogni caso l’artista si rifece all’uso della foglia metallica: ma come veniva ricavata la foglia d’oro? Da dove derivava?

Sappiamo che sin dal XIII secolo, le foglie d’oro si ricavavano direttamente dalle monete auree che, una volta fuse e rimodellate, venivano poste su una pietra larga e successivamente battute con un martello fino a raggiungere uno spessore infinitesimale del metallo. L’utilizzo delle monete come fonte aurea per la produzione delle foglie è giustificato sia dalla loro facilità di reperimento sia dalla garanzia della purezza dell’oro stesso che le componeva, scrupolosamente vagliata dalla Zecca di stato. Le fonti narrano poi che le foglie venivano ricavate nella forma quadrata e che avevano uno spessore ben inferiore al millimetro – si parla di 3 nm circa, ovvero all’incirca di 0.0003 mm. La forma quadrata della foglia è spesso visibile anche a occhio nudo nelle opere che mostrano il fondo oro ormai consumato dal tempo. Anche nella nostra Incoronazione l’osservatore attento individuerà facilmente il perimetro delle foglie che compongono il fondo dorato sul quale si stagliano le figure del Cristo e della Vergine (fig. 2).

Quando oggi osserviamo dipinti del Medioevo e del primo Rinascimento, esposti all’interno di un percorso museale o di una chiesa ben illuminata dalla luce elettrica, dobbiamo sempre tenere a mente che quelle stesse opere furono concepite per essere osservate alla luce del sole, che entrava dalle finestre negli ambienti o a quella emanata da fiaccole e candele, che producevano una luce ben più instabile e difficile da governare ma, allo stesso tempo, decisamente più affascinante e misteriosa del bagliore fisso prodotto dalla lampadina elettrica, alla quale siamo così abituati. Quel tipo di luce doveva creare uno sfavillio davvero unico nel momento in cui veniva a contatto con la foglia d’oro, così abbondante in opere quali l’Incoronazione di Mariotto, trasportando il fedele che la ammirava in un mondo surreale.

Fig. 4

Le scene sacre riprodotte nelle tavole medievali, dunque, non narravano semplicemente una storia, ma intendevano  ricreare l’evento miracoloso come se si compiesse nuovamente sotto gli occhi del credente, grazie al fascino mistico emanato dall’oro, illuminato dalla luce delle candele.  Candele che gli Acton scelsero ancora per illuminare le stanze della loro collezione e quando fu introdotta, alla fine degli anni Dieci, la luce elettrica coprirono le moderne lampadine con eleganti  paralumi con perline di vetro (fig. 4), ottenendo così lo stesso effetto sfavillante delle candele sul fondo oro.

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

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